mercoledì 27 giugno 2012

La Germania dei trucchi.

I greci hanno truccato i conti. Noi, secondo i tedeschi pure, per colpa di Prodi e Kohl. Loro, invece? Anche. Tutto parte da questo articolo che ho trovato in web, poi ne sono comparsi altri, molti altri, fino ad arrivare al primo focolaio, su cui viene fatta luce piena sulla questione. Eccolo qui, scritto da Massimo Mucchetti sul Corriere della Sera. Ancora una volta, esistono due verità.


I conti degli altri
il Peccato Tedesco sul Debito
Angela Merkel paragona l' Italia alla Grecia. Per quanto si possa dir male del nostro governo, il cancelliere sbaglia. Roma non ha mai mentito sui suoi conti pubblici come ha fatto Atene. E poi la Germania dovrebbe comunque rispettare un partner commerciale dove esporta più che in Cina. E infine, quanto a debito pubblico, il governo di Berlino si avvale di antiche furbizie. Che, alla vigilia della sentenza della Corte costituzionale di Karlsruhe sui salvataggi già fatti e in vista della seduta del Bundestag di fine mese sul piano salva Stati, vale la pena di ricordare. Da 16 anni la Germania non include nel suo debito pubblico le passività del Kreditanstalt für Wiederaufbau, meglio noto come KfW, posseduto all' 80% dallo Stato e al 20% dai Länder, altri soggetti pubblici. Si tratta di 428 miliardi di euro interamente garantiti dalla Repubblica federale. La KfW fa mutui a enti locali e piccole e medie imprese. Detiene partecipazioni cruciali in colossi come Deutsche Post e Deutsche Telekom. È vigilata dai ministeri delle Finanze e dell' Industria, non dalla Bundesbank. Grazie al legame di ferro con lo Stato, la KfW conquista la medaglia d' oro nella classifica mondiale dell' affidabilità, stilata da Global Finance, e il massimo rating da parte di Moody' s, Standard & Poor' s e Fitch, lo stesso della Repubblica federale. Le sue obbligazioni sono dunque uguali ai bund. Ma a differenza dei bund, magicamente non entrano nel conto del debito pubblico. Se vi entrassero come la logica del Trattato di Maastricht vorrebbe, il debito pubblico tedesco salirebbe da 2.076 miliardi a 2.504 e la sua incidenza sul prodotto interno lordo 2011 balzerebbe dall' 80,7% al 97,4%. Ancora un piccolo passo, magari per salvare qualche banca tedesca ingolosita dai titoli di Stato mediterranei, e potremmo dire: benvenuta Germania tra noi del club degli over 100%! La magia, che nasconde il 17% del debito pubblico reale tedesco, si chiama Esa95. È il manuale contabile che esclude dal debito pubblico, a integrazione dei criteri di Maastricht, le società pubbliche che si finanziano con pubbliche garanzie ma che coprono il 50,1% dei propri costi con ricavi di mercato e non con versamenti pubblici, tasse e contributi. La serietà di un tale principio è paragonabile alla considerazione del rischio di controparte negli Ias-Ifrs, i principi contabili che hanno favorito il crac Lehman. Se per ipotesi KfW avesse problemi, chi pagherebbe? Lo Stato. E senza nemmeno l' ipocrisia degli Usa che qualificavano le loro Fanny Mae, Freddie Mac e Ginnie Mae come imprese sponsorizzate dal governo per far capire che, alla bisogna, il Tesoro avrebbe coperto, ma senza dirle statali per non sembrare statalisti. Ora l' Italia ha la Cassa depositi e prestiti, 70% Tesoro, 30% fondazioni bancarie, soggetti privati. La Cdp emette anno dopo anno obbligazioni che godono della garanzia statale e sono collocate dalle Poste sotto forma di buoni e di libretti. Mal contati sono 300 miliardi, due terzi reinvestiti in titoli di Stato e un terzo in mutui agli enti locali. La Cdp emette anche obbligazioni non garantite per una ventina di miliardi destinate alle iniziative per le imprese e detiene partecipazioni rilevanti. Ma il suo debito è per tutta la parte coperta da garanzia pubblica conteggiato nel debito pubblico. In un mondo serio delle due l' una: o la Germania ricalcola il suo debito come si deve perché l' Eurozona sotto attacco non accetta più furbizie da parte di nessuno, ancorché legalizzate a forza, oppure l' Italia deconsolida dal suo debito pubblico quei cento miliardi o giù di lì che la Cdp usa per gli enti locali, dato che questi la scelgono su un mercato bancario liberalizzato. Risulta che il ministro Giulio Tremonti abbia talvolta accennato al tema. Ma quando un governo vuole incidere, compie passi formali, il premier si mobilita, si muove anche il ministero degli Esteri. Si fa sentire sui giornali e in tv. E se i media non capiscono, insiste: nessuno negherà un' intervista a un ministro che voglia alzare la voce. Ma nell' Italia di oggi quest' ipotetica voce avrebbe un suono fesso. Nessuno, lontano da Roma, le presterebbe attenzione. Il punto è la credibilità. La Germania ne ha anche quando fa il gioco delle tre carte. All' Italia manca anche di fronte alla verità.

Mucchetti Massimo - (7 settembre 2011) - Corriere della Sera

lunedì 25 giugno 2012

I Paesi Bassi di Geert Wilders


Mentre in Italia nessun partito parlamentare osa criticare l'euro, a parte il Silvio nazionale che viene però prontamente ostracizzato sia dai suoi che dagli altri (interessante combinazione), in Olanda le cose vanno diversamente. Costretti a fare i conti con una pesante recessione nonostante la tripla A, nei Paesi Bassi c'è una novità. Il leader della destra nazionalista Geert Wilders (noto per l'impegno contro l'immigrazione selvaggia e l'islamizzazione del paese), capo del Partito per la Libertà, (terzo partito del Parlamento Olandese), gioca la sua carta. La proposta è un referendum nazionale di abolizione dell'euro. Non è solo nella sua battaglia, perchè anche in Francia, il partito di Marine Le Pen è fortemente antieuro, così come nel Regno Unito Nigel Farage e i suoi.

E l'Italia? L'Italia è paralizzata, con un Parlamento fortemente livellato su posizioni conservative che sta a guardare, o, al massimo, a tassare. Un paese fermo, dove cariche istituzionali si contrappongono e si controllano reciprocamente (presidente della repubblica e presidente del consiglio), dove una onnipotente magistratura con poteri e caratteristiche da Stasi (anche a livello ideologico), blocca ogni possibile cambiamento della Costituzione, e dove i rappresentanti dei sindacati e di Confindustria fanno a gara nella difesa dei privilegi. Il tutto per garantire che il sistema non cambi. A completamento del disegno, vediamo un futuro fosco, a giudicare almeno dalla scuola che l'egualitarismo strumentale e l'individualismo esaperato e patologico, entrambi di matrice sessantottina, peggiorano ogni anno, e da cui escono generazioni impreparate professionalmente e culturalmente, il cui unico scopo è quello di ingrossare le fila dei perniciosi passacarte della piovra burocratica.

Eurozona

Dicono che un'immagine valga più di cento parole... Opera di David Simonds.

martedì 19 giugno 2012

La Grecia resiste

Come contro i persiani nella storia e come contro i russi negli europei 2012 la Grecia non sembra voler mollare l'euro. E' logico, per carità, i greci non sono dei grandi esportatori, e l'inflazione derivata dal ritorno alla dracma probabilmente farebbe grossi danni. Ecco perchè ci vorrebbe un'uscita congiunta di Italia, Spagna, Portogallo ed eventualmente Irlanda. In tal modo l'euro schizzerebbe ai massimi e i tedeschi non potrebbero più esportare nemmeno uno stuzzicadenti, e la loro economia si ridimensionerebbe pesantemente, cessando una concorrenza favorita dalle grandi risorse del paese contro economie che tali risorse non hanno, come l'Italia. Questo riporterebbe semplicemente l'Europa ad una situazione più equilibrata, senza traumi esagerati. Alternativamente potrebbe essere la Germania stessa ad andarsene, rifiutando le regole del mutuo soccorso, rendendo l'euro una moneta meno matrigna e più elastica. Se il Piemonte o la Lombardia facessero come la Germania, l'Italia non esisterebbe da un pezzo. A Dio piacendo noi siamo parecchio diversi.

Insistendo sull'euro e senza permettere ai paesi membri di batterlo o senza che lo faccia la BCE, lo scenario è decisamente più oscuro. Le banche continueranno a taglieggiare i paesi in difficoltà e a drenare ricchezze, e ad un certo punto i consumi crolleranno oltre ogni immaginazione. E crollo dei consumi significa semplicemente crollo dell'occupazione e crollo dei servizi, cosa che è ben diversa da un abbassamento programmato e ad una ricalibrazione dell'economia fatta in progressione. Lo sappiamo che il PIl non può crescere sempre e ad ogni costo. Ma un conto è adattarsi alla nuova situazione in un decennio, un altro è farlo in sei mesi.

Sarebbe un remake di un film già visto, come la caduta del comunismo in Russia invece della trasformazione progressiva fatta in Cina. Tifare per la prima soluzione è semplicemente stupido, perchè sarebbe come segare l'albero su cui si è seduti. Nessuno, nemmeno lo statale più ipertutelato, sarà al riparo da una situazione del genere.

Pontificare coi piedi al caldo è sport molto popolare, e auspicare devastazioni fini a se stesse non è segno di intelligenza, ma di cupio dissolvi. Nel male del disinteresse di molti, però, c'è l'interesse di molti altri. Ci sono gruppi di famiglie che fanno la spesa (nei market a basso costo) a rotazione una settimana al mese, per aiutarne altre che non possono più permettersi nulla per via di affitti e bassi salari. Poi ci sono i gesti semplici, come mandare pochi soldi a chi è in difficoltà, anche col cellulare. E con tutti i loro difetti e scandali, anche le chiese aiutano, come ad esempio la Caritas. E se non basta, c'è anche la gente che prende e va ad aiutare chi ha bisogno, come i terremotati, fuori e dentro l'Italia. Questa è l'Italia.

C'è un'analogia tra il buonismo e il disinteresse che ha permesso di disperdere risorse per anni e la cupio dissolvi del sedicente profeta nel deserto, e cioè che sbagliano entrambi. Due errori non fanno una ragione. Ci vuole equilibrio, capire cosa fare e come farlo. Chiarire le responsabilità, personali e pubbliche. E soprattutto avere un piano concreto e attuabile che non sia nè demolire tutto (in stile sessantottino) nè lasciare tutto com'è (in stile politico opportunista). Non si può nemmeno tornare indietro, perchè non puoi togliere la libertà a chi l'ha provata. Occorrono regole ma non solo quelle che piacciono a noi, ma devono essere condivise. La nostra libertà inizia dove finisce quella altrui, e sapendo questo sappiamo che comunque ciascuno deve rinunciare a qualcosa per ottenere qualcosa.
Come raggiungere praticamente questa terza via è difficile dirlo, ma da qualche parte bisogna cominciare, e farlo con buonsenso mi sembra la cosa migliore.

mercoledì 13 giugno 2012

Ma lo spread non era colpa di Berlusconi?

Sette mesi. Napo orso capo, l'uomo che plaudiva ai carri armati russi che nel '59 schiacciavano sotto i cingoli la rivolta anticomunista ungherese, nomina senatore a vita un oscuro professore bocconiano legato a Goldman & Sachs. Il premier Berlusconi, le cui aziende in borsa vengono attaccate facendole crollare del 12%, si dimette. Avviso mafioso dei poteri forti? Coincidenza? Golpe bianco? C'è sempre di mezzo un conflitto di interessi: c'è a maggior ragione se Monti, pompiere-piromane, viene chiamato a spegnere l'incendio che ha contribuito a creare. Monti, quello che era nella commisione europea che nel 2001 fece entrare la Grecia nell'euro. Lo spread cala. Per un po'. I pasdaràn, quelli del ventennio berlusconiano (che non c'è mai stato visto che non ha governato nemmeno nove anni, ma sa tanto di fascista) esultano. Il preconcetto religioso che tutti i mali della malatissima repubblica italiana siano legati al loro peggior nemico diviene certezza concreta.

Poi, l'accelerazione, la presunta quadratura dei conti, tasse più alte, contributi più alti, la reintroduzione dell'iniqua tassa sulla casa comprata con soldi già tassati, imprese che chiudono a catena, nessun rilancio economico, nessuna mediazione. Nessun litigio quotidiano Berlusconi-Tremonti, no, perchè qui si è riunito tutto in uno, senza freni. Professori, slegati dalla realtà quotidiana, che svolgono un lavoro che potrebbe fare un qualunque ragioniere, solo che lo fanno nel peggiore dei modi. Povera Italia, se prima eravamo nella padella, adesso è brace pura. Si prevedono crolli nelle casse dello stato. Altro che finte battaglie sull'articolo 18.

Le aziende piccole e medie chiudono, le P.IVA vengono restituite. Chi può va in Romania, in Svizzera, in Austria, dove stati non canaglia chiedono un modesto contributo al lavoro, il 20%. La Fiat se ne va, un pezzo alla volta . Nell'Italia neoborbonica che mantiene un esercito di strutture parassitarie (anche a livello locale), le tasse, tra IRPEF, INPS et cetera, partono dal 45% (se si escludono i quattro gatti creati da Tremonti che pagano il 5% di IRPEF più l'INPS passata da 2.800€ a 3.200€ con Monti). Gli altri, quelli che non possono andarsene, ricorreranno al nero assoluto diventando evasori totali. Un capolavoro.

Ed eccoci allo spread, tornato ai valori di sette mesi fa. Il cerchio si chiude. Scrive su La Stampa Jena, vecchio comunista al di sopra di ogni sospetto: "Ma non avevamo detto che la speculazione attaccava l’Italia perché c’era Berlusconi?".

Intanto all'estero, in Grecia, studiano come bloccare i bancomat quando ci sarà l'uscita dall'euro. La Spagna, declassata di tre gradi in un colpo solo, si prepara all'ultima battaglia, facendosi taglieggiare dalle banche con un megaprestito. I franchi svizzeri vanno a mille, tanto che la Svizzera ha dovuto bloccare il tasso di cambio della sua moneta. Qualcuno inizia a parlare di nazionalizzazione delle banche anche in Italia.

lunedì 11 giugno 2012

Quando l'economia muore

Ecco cosa ci dice Unioncamere, su questo 2012. Niente che non si sappia già, per carità. Solo che quando il dato è nudo e crudo, lascia poco spazio alla filosofia.

"Roma, 18 aprile 2012 – Meno iscrizioni e più cessazioni: è così che, nel primo trimestre del 2012, si è allargata la forbice della vitalità delle imprese tra chi sceglie di entrare sul mercato creando una nuova attività (sono stati in 120.278 tra gennaio e marzo) e chi, al contrario, ne è uscito (in tutto, 146.368). In particolare, rispetto allo stesso periodo del 2011, le iscrizioni sono diminuite di 5mila unità mentre le cessazioni sono aumentate di ben 12mila unità, con il risultato di un saldo del periodo pari a -26.090 imprese. Praticamente il triplo rispetto ai primi tre mesi del 2011, quando erano mancate all’appello “solo” 9.638 imprese. In termini relativi, la riduzione dello stock delle imprese nel I trimestre è stata pari al -0,43%, contro il -0,16% del 2011."

La cosa che non dice, e che si può leggere qui, è che quasi la metà di queste imprese morte sono agricole, per la precisione 13.335 in meno. E qui, se la produzione scende, c'è poco da stare allegri.

In più, riporta La Stampa dell'11 giugno 2012, le P.IVA sono diminuite tra marzo e aprile, del 25,8%.
Credo che, di questo passo, i tagli agli stipendi degli impiegati pubblici siano sempre più vicini, perchè l'anno prossimo nelle casse dello stato ci sarà un buco mai visto prima. Se non c'è un rilancio dell'economia con un taglio brutale di tasse soprattutto ai privati, l'accelerazione della caduta sarà dirompente.